Le panzane sull’Eurouscita/1 – Svalutazione ed Inflazione, il caso Brexit

La propaganda dei media di regime: “Se usciamo dall’Euro, la svalutazione e l’inflazione esploderanno.” Vero o falso?

Sondaggio Demopolis per Ottoemezzo, desiderio di uscita dall'Euro.

L’Euro non è una moneta ma una forzatura economica e finanziaria, espressione di una volontà politica di vertice. E’ un “semplice” blocco dei cambi (ai valori del 31 dicembre 1998) delle valute di paesi con storia, economie e culture diverse.

CambioFissoEuro è una forzatura perché non è stato preceduto – e non sarà mai seguito – dalla costituzione di una Europa Federale, cioè una unione politica che prevede, tra le molte cose assenti nella attuale (Dis)Unione euroepa, solidarietà e corresponsabilità interna nonché nei confronti del resto del mondo. L’ultima cosa al mondo che la Germania vuole.

Di conseguenza una moneta unica priva di uno Stato Federale alle spalle è troppo forte e penalizza i paesi “più deboli” (banalizzo) ed è troppo debole e premiante per i paesi “più forti” (ribanalizzo), senza alcun fattore di bilanciamento. E lo sta facendo da più di 18 anni, per cui l’accumulo delle distorsioni e delle tensioni sta arrivando a livelli insostenibili. E’ probabile che qualcosa succeda, ma non è questo il tema che qui ci interessa.

Ciò premesso, la risposta alla domanda posta nel sottotitolo è: se usciamo dall’Euro (o se nascono due Euro, uno di serie A e uno di serie B), SI’ la nuova moneta “italiana” si svaluterebbe (15-20%) , NO l’inflazione non esploderebbe, ne risentirebbe solo in piccola parte.

Se volete affrontare il tema in modo razionale e non emotivo o per sentito dire (giornali e televisioni) allora questo articolo vi può interessare. Abbiamo per nostra fortuna la disponibilità di Banche Dati di istituzioni internazionali a cui affidarsi, che documentano gli avvenimenti economici della maggior parte dei paesi del Mondo da una cinquantina d’anni. Non chiacchiere o interpretazioni emotive, ma dati e fatti.

La storia economica ci presenta decine e decine di intense svalutazioni/rivalutazioni avvenute nei più svariati paesi, con i relativi dati sull’inflazione. Alcune tuttora in corso (come il nostro caso Brexit), altre nuove si manifesteranno nel futuro. Si chiama legge del Mercato Valutario e non si fermerà mai, a meno che il mondo capitalista non si suicidi e si trasformi in … economia pianificata.

In questo articolo analizzeremo il caso post Brexit, che come sapete è in corso da circa 6 mesi ed è quindi solo ai suoi inizi, motivo per cui lo seguirò ed aggiornerò nel corso del 2017 e degli anni successivi. In un prossimo post presenterò invece casi di svalutazioni/inflazione più ampi e più datati che riguardano l’Italia, l’Europa, Stati Uniti e Giappone.

Questo articolo è composto da due sezioni: nella prima vedremo a) cosa è successo alla Sterlina e all’inflazione nel paese di Sua Maestà tra giugno e dicembre 2016 e b) le previsioni per i prossimi anni, sempre per la Gran Bretagna, di prestigiosi istituti internazionali; nella seconda sezione daremo una interpretazione di quanto successo, individuando i fattori esplicativi chiave, che hanno peraltro un valore di carattere generale e non limitato alla Brexit.

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Il 2017 vedrà la fine dell’egemonia americana? E, intanto, come procede la Trumpiade?

Federico Dezzani prevede nel 2017 la fine della 70ennale egemonia mondiale americana.

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La previsione del blogger Dezzani è diametralmente opposta all’ipotesi geopolitica che ho espresso in questo articolo. In comune abbiamo come punto di riferimento la nuova presidenza di Donald Trump.

In sintesi, scrive Dezzani:

Il 2017 ha emesso i primi vagiti e molti si domandano quali novità abbia in serbo. Se il 2016 è definibile come l’anno dell’agonia del vecchio ordine mondiale a guida angloamericana, il 2017 ne sancirà il trapasso: insediatosi Donald Trump alla Casa Bianca, gli USA adotteranno per la prima volta dagli anni ’30 una politica estera neo-isolazionista, disimpegnandosi da storiche istituzioni come la UE e la NATO. Le forze centrifughe in seno all’Unione Europea ne usciranno galvanizzate ed una serie di tornate elettorali sarà in grado di infliggere il colpo di grazia all’eurozona. Nell’Est europeo ed in Medio Oriente, un numero crescente di Paesi cercherà riparo sotto l’ombrello russo, mentre la situazione si farà critica per gli ex-satelliti statunitensi lasciati senza protezione. La globalizzazione, già in affanno, subirà un drastico arresto. Al termine del 2017, il mondo sarà irriconoscibile. […..]

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Il salvataggio di MPS e il rispetto degli interessi degli italiani

I diversi modi di salvare MPS e relativi risvolti politici interni ed internazionali

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Il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena sembra in dirittura d’arrivo, con l’intervento del governo mediante un’operazione finanziaria dal valore nominale di 8,8 miliardi, come da ultime richieste BCE. Lo Stato assumerà il controllo dell’istituto senese, in pratica una nazionalizzazione, un salvataggio pubblico di una banca privata. Tutto bene quindi? Siamo sicuri che andrà a finire proprio così, o ci può essere qualche sorpresa dietro l’angolo? E poi: questo salvataggio pubblico è nell’interesse generale o premia qualche gruppo di interesse e ne penalizza qualcun altro? C’erano (ci sono) altri modi di sciogliere il nodo MPS? Prima di affrontare queste domande, dobbiamo fare un passo indietro e ricordare la logica del recente e più grande salvataggio pubblico della finanza privata nella storia del mondo occidentale. Chi va di fretta può saltare la prossima sezione e andare a quella successiva.

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I due fattori decisivi del primo mandato presidenzale di Trump – II parte: la politica internazionale

La virata geopolitica sullo scacchiere mondiale, la missione affidata a Trump.

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Anticipo che questo è un post di fantapolitica perché non ho uno straccio di prova di quello che scriverò, sono solo armato di un ragionamento induttivo che mi porta a delineare una ipotesi di riassetto geopolitico ad opera della imminente presidenza Trump. Il punto di partenza della mia fantasiosa analisi predittiva (forse più simile alla scenografia di un film, come dice il mio amico Antonio) è infatti la sbandierata volontà di Donald di riavvicinamento alla Russia e di assoluto appoggio ad Israele: potrebbe rivelarsi un bluff o, al contrario, evolvere – ecco la fantapolitica – in una vera alleanza anti Cina. Il gigante economico asiatico si troverebbe soverchiato militarmente e in forte difficoltà di approvvigionamento di energia e materie prime. In altre parole, sotto controllo. Ma non anticipiamo troppo i “ragionamenti induttivi”.

Per una tale evoluzione geopolitica non basterebbe ovviamente la prima presidenza di 4 anni di Trump e neanche la seconda, parliamo di 10-15 anni. Sarebbe allora un parto della prorompente personalità del tycoon newyorkese? Certo che no. Come ho già scritto in precedenza, un Presidente americano è un componente importante ma non autosufficiente di un “team”, al vertice del quale siede la Grande Finanza (a ridaje con la fantapolitica) delle dinastie familiari dell’occidente che controllano la FED e le Banche Centrali – terminologia più corretta: gli Istituti di Emissione/Creazione di moneta.

Prima di esporre la mia tesi geopolitica – se e quanto  fantasiosa o realistica lo diranno gli anni a venire – devo esplicitare una premessa altrettanto fantapolitica, sulla “anomala” vittoria di Trump nelle corsa presidenziale, che mi azzardo a definire pilotata a suo favore. Vediamo come e per quale motivo.

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I due fattori decisivi del primo mandato presidenzale di Trump – Prima parte: la scommessa economica

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Trump non è ancora Presidente, deve essere confermato da almeno 270 dei 307 Grandi Elettori

I giochi non sono completamente fatti per Donald Trump, non è ancora Presidente. Lo diventerà se l’esito del voto del 8 novembre verrà confermato da quello dei Grandi Elettori. Il tycoon americano è decisamente favorito perché dal voto di novembre sono usciti 306 Grandi Elettori del partito repubblicano contro 232 del partito democratico (nonostante la Clinton abbia avuto 2,8 milioni di voti in più di Trump!), con la soglia della conferma a Presidente fissata a 270. Ma teoricamente gli Elettori possono anche smentire la nomina di Trump.

Infatti, come da Costituzione USA, gli Elettori non sono soggetti all’obbligo di mandato, possono astenersi o addirittura votare un altro candidato. Esprimeranno il loro voto segreto oggi 19 dicembre, anzi due distinti voti: uno per il Presidente (Trump) ed uno per il vicepresidente (Pence). Seguirà poi una lunga procedura che porterà all’apertura delle schede il 6 gennaio in una seduta congiunta dei due rami del Congresso (gli Stati Uniti hanno un sistema parlamentare bicamerale perfetto, come il nostro bistrattato Parlamento).

Al momento 1 solo Elettore ha dichiarato che non voterà il tycoon di NY. Ci sono però voci che in 20 sarebbero pronti a votare contro di lui. Il Comitato Nazionale Repubblicano, il partito repubblicano ed la macchina elettorale di Trump stanno …. “mantenendo” i contatti con gli Elettori per contenere le defezioni al minimo, evitando il ricorso ad una procedura veramente complessa per determinare chi sarà il Presidente dei prossimi 4 anni. E’ quindi molto probabile che Trump sarà confermato Presidente ed entrerà in carica il 20 gennaio 2017. Resta interessante vedere quante defezioni ci saranno, credo che stabilirà comunque in questo senso un record storico americano negativo.

Facciamo quindi un balzo in avanti e, in attesa di vedere e giudicare la squadra di governo che il magnate newyorkese sta mettendo insieme – anche questa soggetta in parte a successiva conferma del Congresso – concentriamoci sui due fattori che nei prossimi 4 anni saranno, a mio parere, decisivi sia sul piano dei risultati sia per la sua rielezione per il quadriennio successivo 2020-2024. Il primo è quello del rilancio dell’economia, il secondo è quello della politica internazionale, che esaminerò nella seconda parte di questo post.

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Post referendum, pensieri sparsi su vincitori e vinti. E una domanda: e adesso?

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I vincitori: gli italiani

L’alta affluenza e il (quasi) 60% di NO sono l’espressione di una grande momento di reazione della maggioranza del popolo italiano, un segnale importante – che auspicavo ma che non era per nulla scontato – che ci dice che il bombardamento mediatico del potere ha i suoi limiti, sopratutto se il suo racconto è troppo lontano o in contraddizione con le esigenze, le condizioni di vita  e le prospettive dei cittadini. 

L’opinione pubblica non ha bevuto la potente propaganda renziana, supportata dalla principale stampa, da televisioni, da opinionisti, da illustri conduttrici(Lilli) e conduttori (Vespa) e dai ricatti del mondo finanziario angloamericano, che favoleggiavano del balzo in avanti dell’Italia con un SI referendario.

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Il mio grande NO alla riforma costituzionale

Comincio con una domanda ed una risposta importanti. Perché votiamo il referendum costituzionale? Perché in Parlamento non si è raggiunta la maggioranza di due terzi necessaria per far passare qualsiasi riforma costituzionale e si deve quindi interpellare il popolo. Lo strumento è il referendum confermativo, per il quale non è richiesto né il quorum dei votanti, né una maggioranza qualificata. 

Brutta partenza per una riforma di questa portata, che infatti sta spaccando anche l’opinione pubblica, l’esito finale al fotofinish scontenterà all’incirca metà degli italiani. Ma per Renzi questi risvolti non contano, si gioca tutto, questa è la sua partita personale per la conquista del potere e per la sua definitiva affermazione e benedizione da parte degli ambienti internazionali che contano.

In un recente articolo il prestigioso settimanale inglese The Economist si è schierato a sorpresa per il NO.

A me poco importa, il mio convinto NO era preesistente, ma è comunque interessante leggere l’articolo dell’Economist, nel quale ho evidenziato in grassetto i punti che mi sembrano più significativi. Aggiungerò poi in coda un commento e altre importanti argomentazioni del mio voto. 

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Sta per succedere qualcosa di molto strano/5 – Come si può evitare il collasso finanziario mondiale

L’arma segreta: la creazione di moneta degli Istituti di Emissione (Banche Centrali)

Cosa fanno le banche centrali sul denaro digitale - Startmag

Come ampiamente illustrato nei precedenti quattro articoli di questo ciclo dedicato all’instabilità economica e finanziaria, il mondo è entrato in questo inizio del XXI secolo in una inedita e pericolosa spirale di alto debito, di bassa crescita, deflazione e disoccupazione. La fascia di povertà nel mondo occidentale è in continuo allargamento, le tensioni sociali crescono e la fanfara della comunicazione ufficiale crede di cavarsela demonizzando il populismo.

Non hanno capito niente, l’elezione di Trump è stata per loro una sorpresa e ancora oggi sostengono che sarebbe il frutto dell’allarmismo populista di metà degli elettori americani. Così come viene liquidato come demagogico il forte sentimento di contestazione e di cambiamento espresso da larghe parti dell’opinione pubblica ungherese, inglese, francese, austriaca, italiana, ecc. Visione storica zero, semplice ed aprioristica difesa della struttura di potere in essere, della quale la stragrande maggioranza dei giornalisti cartacei e televisivi si sentono (o ambiscono far) parte.

L’attuale situazione è invece il risultato di due successive fasi del ciclo storico iniziato nel secondo dopoguerra che ho illustrato qui. Siamo ora nella terza fase, caratterizzato da un mondo in corso di globalizzazione capitalistica, ad alta instabilità economico-finanziaria e geopolitica, le cui cause – che ho qui analizzato – sono teoricamente chiare e rimovibili. Ma è per me altrettanto evidente che l’élite saldamente al potere nel mondo da circa un secolo, che ha generato questa situazione, cercherà di non retrocedere.

Per “retrocedere” intendo: 1) accordare nuovamente alle classi lavoratrici una maggiore quota del reddito prodotto ogni anno, 2) isolare il casinò della finanza selvaggia dal mondo bancario che gestisce i depositi dei piccoli risparmiatori ed eroga il credito al mondo produttivo e 3) eliminare i paradisi fiscali che consentono a) di evadere le tasse ed aumentare i profitti a danno dei bilanci pubblici e, ancor più importante, b) di far fluire i flussi finanziari utilizzati dai servizi segreti per i loro traffici e e le loro sporche manovre internazionali, di cui non avremo mai resoconti televisivi e giornalistici.
Come dire: bisognerebbe cancellare le due “conquiste” economiche e finanziarie della élite globalizzante anglo americana dell’ultimo quarto del secolo scorso e ridurre lo spazio di manovra dello scontro geopolitico e del riciclaggio del denaro sporco, droga compresa.

Ma come si può allora interrompere la perversa spirale tra aumento del debito e bassa crescita che rischia di portare al punto di fusione il motore finanziario capitalistico mondiale? Pongo la domanda in altri termini: se la situazione sfuggisse di mano e si avviasse il collasso finanziario, esiste il modo di contenerne i danni e ripartire su basi più solide?

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