Dove ci porterà la Fase 3?
Ovvero: è possibile riequilibrare la distribuzione del reddito, dei patrimoni e “risanare” la finanza? Ed avere così una società più stabile ed equa?
SINTESI PER I LETTORI FRETTOLOSI. QUESTO POST E’ UNA RAPIDA DISAMINA DELLE PRINCIPALI SOLUZIONI “TECNICHE” PER RIFORMARE IL SISTEMA ECONOMICO-FINANZIARIO E RISPONDERE QUINDI AFFERMATIVAMENTE ALLE DOMANDE ENUNCIATE.
DATO PERO’ CHE CHI DETIENE IL POTERE NON INTENDE RINUNCIARE ALLE CONQUISTE DEGLI ULTIMI 60 ANNI, LE PROBABILITA’ CHE TALI SOLUZIONI VENGANO POSTE IN ATTO SONO MINIME.
QUESTA E’ LA SOSTANZA DI QUESTO POST, CHE E’ QUINDI UTILE PER CHI E’ INTERESSATO A CONOSCERE LE POTENZIALI SOLUZIONI “TECNICHE”.
MA ALLORA PERCHE’ QUESTA MINI SERIE DI POST SULL’ECONOMIA E LA FINANZA MONDIALE SI INTITOLA: STA SUCCEDENDO QUALCOSA DI MOLTO STRANO?
MI CIMENTERO’ CON QUESTA DOMANDA NEL SUCCESSIVO POST DI QUESTA SERIE, CHE SI AGGANCERA’ POI ALLE “STRANEZZE” IN MATERIA DI GEOPOLITICA.
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Dice un antico detto cinese: “Fai una buona analisi di un problema e troverai la strada per la sua soluzione”.
Faccio allora il mandarino e riparto dalle due distorsioni economico-finanziarie alla base dell’instabilità e delle crisi cicliche del capitalismo monopoliberista dei paesi sviluppatiS
- la compressione dei redditi da lavoro e dell’intervento pubblico nell’economia**, con conseguente carenza di domanda aggregata, investimenti privati e pubblici inclusi, e di alta disoccupazione
Gli effetti negativi di questo primo punto vengono poi amplificati dal secondo
- sviluppo abnorme e ciclico (boom/crisi) della finanza , sia della sua componente “sana”, tesa a sostenere la carenza di domanda privata e pubblica, sia della finanza speculativa con il suo gigantesco casinò dei furbetti del mondo a danno del parco buoi (ovvero i risparmiatori della classe media).
L’effetto combinato dei due punti alimenta un effetto perverso che vede da una parte carenza di domanda di beni e servizi e dall’altra eccesso di finanza: è assolutamente inevitabile se nell’arco dei decenni una quota sempre maggiore di reddito/ricchezza si concentra in una sempre più ristretta élite di magnati. Ci vorrebbe una seconda Terra sulla quale esportare l’eccesso di offerta di beni e servizi e ridurre la disoccupazione e gli squilibri sociali……
Quindi, ammesso (e non concesso per chi la pensa diversamente) che queste siano le radici malsane dell’instabilità e della iniquità sociale del capitalismo occidentale – ormai esportato ed applicato su scala globale, salvo in Africa e in Medio Oriente – da buon mandarino provo adesso a ragionare su come “ristrutturare” le menzionate fondamenta malate del sistema in cui viviamo.
Una più equilibrata distribuzione del reddito attraverso le leggi di mercato? Possibile, ma improbabile.
E’ ovvio che la leadership del capitalismo liberista non correggerà mai spontaneamente la attuale distribuzione del reddito prodotto ogni anno: lo ha fatto nei trenta gloriosi per opportunismo, come antidoto al diffondersi delle simpatie verso l’Unione Sovietica ed il comunismo. Anzi, in assenza di minacce esterne (quale appunto l’Armata Rossa a Berlino) tenderà ad accentuarla a suo favore.
E i mezzi per farlo li ha tutti! Mi riferisco a questo po’ po’ di armata: 1) il solido controllo della politica (potere legislativo ed esecutivo) 2) il presidio di tutti i mezzi di manipolazione e condizionamento (pardon, di comunicazione) di massa, con un unico punto un po’ debole su Internet 3) il finanziamento dei “pensatoi” (i Think Tank) globali che dettano i temi poi banalizzati e ritmati dalla cassa di risonanza dei giornalisti e delle università 4) il controllo, in condominio con la politica, delle Banche Centrali.
Fin qui la situazione sembra disperata (meravigliosa direbbe un magnate multi-miliardario!).
Ma c’è un però! Il capitalismo liberista potrebbe essere costretto nel medio periodo ad una più equa distribuzione del reddito da un nuovo vincolo di ….. mercato, e più precisamente di quello del lavoro.
Ricordo che la concorrenza di centinaia e centinaia di milioni di contadini cinesi trasferiti dalla terra alla fabbrica è stata – in abbinamento con l’evaporazione della minaccia comunista – la condizione che ha reso possibile sulle due sponde dell’Atlantico il salto in avanti in materia di riduzione dei redditi da lavoro da parte del liberismo industriale e commerciale.
Ma a che punto è la Cina? Anche il mercato del lavoro cinese può avvicinarsi alla saturazione. In effetti il capitalismo di stato cinese sta bruciando tutte le tappe: da economia contadina ad economia industriale (manifattura e costruzione di infrastrutture, di abitazioni e di uffici), da società industriale a quella di servizi (commercio, servizi privati e pubblici), dai servizi alla finanza. La Cina sta percorrendo questo ciclo a velocità sostenuta, non è ancora allo stadio finale, ma non tarderà molto ad arrivarci. (Piccolo inciso: le bolle immobiliari e borsistiche cinesi già fanno la loro bella figura nel panorama mondiale)
La sequenza del ciclo sopra ricordato vede il parallelo e graduale esaurimento del “serbatoio” dei lavoratori” e quindi l’aumento del costo del lavoro. Da un’economia trainata dall’export e dagli investimenti interni, la Cina sta in effetti passando ad una più orientata alla domanda interna (redditi da lavoro e spesa pubblica).
C’è chi pensa che questo processo sia già avanzato e che non sia lontano (10 anni?) l’avvio del rimbalzo del mercato del lavoro in occidente, dove quindi le classi lavoratrici dovrebbero avere più voce in capitolo nella negoziazione con la classe imprenditoriale.
E’ dunque possibile che ciò avvenga? Sì, ma …… ci sono due nuove mosse che il liberismo può provare a porre in atto per impedire il recupero di forza contrattuale dei lavoratori: la prima è l’immigrazione come serbatoio per mantenere sotto pressione i salari e salvaguardare i profitti e la seconda è la diffusione della tecnologia (robot, realtà aumentata, telecomunicazioni) che si sta avvicinando a prestazioni quasi-umane.
Una soluzione alternativa a favore del reddito da lavoro attraverso l’azione di governo? Vade retro satana!
Qualora non si riesca ad aumentare alla fonte (l’economia produttiva e dei servizi) la quota del reddito da lavoro, c’è un modo indiretto per arrivare allo stesso risultato, ovvero attraverso la politica fiscale del governo.
Un aumento della progressività dell’imposta sui redditi – mantenendo invariato il gettito totale per non alterare il saldo dei conti pubblici – o un salario minimo finanziato con un aumento delle aliquote delle fasce alte sono due esempi di possibili interventi pubblici.
Peccato che la diabolica macchina propagandistica del pensiero liberista dominante abbia inculcato con successo nell’opinione pubblica la demonizzazione dell’intervento pubblico in materia economica, fiscale e finanziaria. Iniziative simili a quelle sopra enunciate sarebbero oggi linciate sul nascere. Forse sono pessimista, ma è quello che penso.
Quindi, per concludere questa sezione del post, ritengo improbabile che assisteremo nei prossimi anni a spostamento di quote di reddito dai profitti e dalle rendite a favore del lavoro, quale risultato o di nuovi equilibri del mercato del lavoro o di azione di politica economica di governo.
E’ possibile allora una redistribuzione della ricchezza accumulata? Per favore (Picketty) non siamo ridicoli!
Picketty, l’alfiere della tassazione dei patrimoni. Chi meglio ha documentato la crescente disuguaglianza della distribuzione del reddito e della ricchezza (patrimoni) è senz’altro il francese Thomas Picketty, con il suo voluminoso libro “Il Capitale nel XXI secolo”.
E’ il frutto di 15 ammirevoli anni di ricerche, estese su dati e stime economiche plurisecolari e più nel dettaglio per quanto riguarda il XX secolo. Vale senz’altro la pena di leggerlo.
Riporto due flash dell’analisi di Picketty sulle disuguaglianze: “… (pag. 363) le guerre mondiali e le politiche pubbliche che ne sono derivate hanno svolto in ugual misura un ruolo fondamentale nel processo di riduzione delle diseguaglianze nel XX secolo” (pag 363). “A partire dagli anni settanta del XX secolo le disuguaglianze all’interno dei paesi ricchi …… si sono di nuovo accentuate (pag 33).
La parte analitica è decisamente quella migliore del libro. Quando passa invece all’interpretazione del fenomeno, diventa fumoso e poco concreto. Sulla soluzione, poi è totalmente ingenuo (se è in buona fede … io non ci scommetterei): mentre infatti non considera prioritaria una più equilibrata distribuzione applicata all’economia reale (reddito), la sua ricetta è una imposta ….. mondiale … sui patrimoni !!!
A tal fine, Picketty sostiene che i governi del mondo dovrebbero arrivare a scambiarsi le informazioni bancarie – neutralizzando quindi i paradisi fiscali! – che li metterebbe così in grado di generare dichiarazioni del reddito e dei patrimoni pre-compilate alle quali nessuno potrebbe più sfuggire! E’ veramente un alfiere delle classi medie e popolari? E’ un Don Chisciotte? O fa dell’abile depistaggio, a tutto vantaggio delle élite e dei magnati multimiliardari? Leggete il libro, ne vale comunque la pena.
Bando alle illusioni! Io ritengo pressoché impossibile incidere in modo significativo sulla redistribuzione di ricchezza acquisita perché si formerebbe una ancor più stretta coalizione magnati-corporation-finanza che vanificherebbe ogni seria iniziativa in tal senso, agendo attraverso due leve del potere saldamente nelle loro mani: la politica (partiti, potere legislativo ed esecutivo) e il condizionamento dell’opinione pubblica (“cultura” e mass media).
Controllare la finanza selvaggia globalizzata? Fattibile, ma con gli attuali equilibri di potere, è un’utopia.
Ricordando la recente lezione della crisi del 2008, il primo grande intervento tecnico è addirittura banale: il ritorno alla separazione (che esisteva fino agli anni ’90) tra banche di credito commerciale (famiglie e imprese) e quelle dei mercati (borse e derivati). L’amministrazione Obama ha in effetti avviato una riforma della finanza americana (Dodd-Frank Act del 2010) che fa …. un po’ di solletico a Wall Street.
Una seria regolamentazione della finanza deve fare perno – oltre che 1) sulla eliminazione della attuale commistione tra banche di deposito e finanza speculativa – anche su: 2) divieto (almeno nei momenti di crisi) delle vendite allo scoperto 3) frammentazione delle banche “Troppo Grandi per Fallire” (Too Big To Fail) o, in alternativa 4) applicazione/miglioramento della normative Antitrust esistenti oppure 5) applicazione/miglioramento delle normative di trasparenza e di comunicazione ai mercati ed alla clientela 6) controllo degli incentivi e dei bonus ai top manager, e dulcis in fundo 7) eliminazione dei paradisi fiscali e aumento della progressività fiscale.
Tutto ciò non significherebbe eliminare la finanza speculativa, ma delineare nettamente il confine tra il credito commerciale ed il casinò delle borse e dei derivati, al quale prenderebbero parte operatori consapevoli e con capitali propri. E far pagare le tasse, con conseguente miglioramento dei conti pubblici.
Questi (ed altri interventi) non sono una semplice riforma della finanza ma una serie di rivoluzioni, cioè una bella utopia, dati gli schiaccianti rapporti di forza a favore della oligarchia finanziaria, che controlla le istituzioni internazionali, il mondo della politica e quello della “cultura” e della “comunicazione”. E non c’è da sorprendersi, è da almeno due secoli che il capitalismo procede nella sua marcia quasi trionfale. Ma anche questo regime di potere è destinato alla sua fase di declino o ad una sostanziale trasformazione, che sarà generata da motivi di natura interna o di natura esterna, o da una combinazione dei due.
Ma allora cosa sta succedendo di molto strano in questo inizio di Fase 3?
Fin qui ho sostenuto la tesi che non ci sono le condizioni per una significativa correzione delle distorsioni intrinseche del capitalismo oligarchico del XXI secolo. Quindi instabilità del sistema e iniquità socio economica continueranno ad imperversare. E allora, dove sta il nuovo e la “stranezza” di quella che ho definito l’avvio della Fase 3 del capitalismo post seconda guerra mondiale? Ho bisogno di un terzo post per rispondere a questa domanda e chiudere il filone economico e finanziario per passare poi a quello, strettamente connesso, geopolitico.
Leggi il seguito
**NOTA Anche sul tema del bistrattato intervento pubblico nell’economia ci vorrebbe un intero post. Qui mi limito a fare queste affermazioni: 1) la spesa pubblica, anche la più improduttiva non è diminuzione di reddito e di domanda, ma è iniquità fiscale e sociale interna al paese; 2) il finanziamento a deficit della spesa pubblica non è di per sé un male, dipende dal tasso di crescita dell’economia; 3) il finanziamento a deficit della spesa pubblica e la spesa pubblica improduttiva alterano l’equilibrio del paese verso il resto del mondo solo se di entità nettamente superiore a quella degli altri paesi e se è persistente negli anni; 4) se al finanziamento a deficit “contribuisce” la Banca Centrale, l’impatto è completamente diverso.
Incidentalmente riprenderò alcuni di questi argomenti nel prossimo post sulle “stranezze” in corso.
Vai al post numero 3 della serie
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Sto seguendo e leggendo tutti gli articoli e li trovo molto interessanti. Grande prof, materiale molto approfondito. La sostanza, come scritto a inizio post, è che i ricconi non vogliono perdere nulla di quanto hanno.
Saluti e good work.
Grazie dell’apprezzamento e complimenti per il sito.