In questa seconda parte (qui la prima) vedremo in sequenza: il valore geo strategico del Medio Oriente, i due principali fronti avversari, gli obiettivi strategici dei contendenti, i mezzi utilizzati nello scontro in atto.
Il valore geo politico del Medio Oriente.
Quello più appariscente è il controllo delle risorse energetiche del Medio Oriente – senza dimenticare anche quelle, cospicue, dell’area del Mar Caspio, area di influenza e di accordi economici della Russia -, incluse le reti di oleodotti/gasdotti per l’esportazione, ma dietro le quinte c’è anche la difesa/espansione di Israele nell’area. Se credete che il motivo della guerra in Siria sia quello di liberare il suo popolo da un sanguinario dittatore, o che sia una guerra di religione tra sunniti e sciiti, avete a mio avviso abboccato all’amo della propaganda occidentale.
Non voglio dilungarmi troppo e rimando i volonterosi a questo post che in modo per me convincente qualifica così la guerra in Siria: “per un pugno di gasdotti”. Nella cartina sopra riportata faccio notare il progetto di gasdotto Qatar-Turkey Pipeline che parte dal Qatar e attraverso Arabia, Giordania, Siria e Turchia raggiunge l’Europa. Bene, il dittatore Assad non ha aderito a questo progetto (importantissimo per il Qatar – terzo paese al mondo per riserve di gas – ed anche per la Turchia) e qualche malizioso, io sono tra quelli, ha l’ardire di pensare che la guerra in Siria abbia una relazione con il suo diniego, che sia la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. E’ ovvio che anche l’alleata (di Assad) Russia non vede di buon occhio l’arrivo in Europa del concorrente gas del Golfo.
bbvbvv
I fronti dei contendenti, attaccanti e difensori.
Detto con un tweet, lo scontro è a livello geopolitico globale (America-Russia) ma anche locale (Arabia Saudita-Iran). Da una parte l’America e i suoi alleati, un gruppo spurio – i principali essendo Arabia Saudita, Qatar (finanziatori e fornitori di armi al terrorismo internazionale) e Turchia (tutti paesi con basi militari USA ma che la stessa America qualifica come stati privi di libertà, Freedom House).
Sull’altro fronte troviamo l‘Iran con il suo alleato locale, la Siria, e il grande alleato esterno, la Russia.
Apparentemente c’è un terzo fronte, il Califfato/Isis/Daesh (improvvisa new entry del 2014!!), che è a mio avviso una creatura/pedina del fronte americano, esporrò successivamente la mia tesi in proposito.
C’è infine sullo sfondo anche la Cina – estremamente interessata all’area per le fonti energetiche (l’Iran è un suo importante fornitore) e per il passaggio commerciale in direzione Europa. Non gradisce un ulteriore rafforzamento americano nell’area, molto meglio lo status quo o un rafforzamento (non eccessivo) dell’asse dell’asse Iran-Russia.
Non ho volutamente incluso Israele che merita un capitolo a parte e tralascio anche i Curdi, che pure hanno un ruolo importante.
A differenza che in passato, gli attori del terreno di battaglia sono prevalentemente interni al mondo musulmano, ma l’America (e Israele?) è (sono?) a mio avviso il regista ed il supervisore degli avvenimenti militari.
La cartina sotto riportata è illuminante: Russia e Iran sono collegate via Mar Caspio. Tra Iran e Siria – che accoglie la base navale russa a Tartus (mar Mediterraneo!) e quella aerea ad Hemeimeem – si frappone geograficamente l’Iraq del Nord, proprio dove si è insediato il Califfato che controlla anche l’adiacente territorio della confinante Siria. Sarà un caso che la “strategia” del Califfato Islamico abbia spezzato la continuità Russia-Iran-Iraq-Siria? Ricordo che l’Iraq è un paese in cui oltre il 60% della popolazione è sciita (come il 95% di quella iraniana), la porzione sunnita vive principalmente nella parte Nord. Che infatti è stato il punto ideale di attacco e di conquista dell’estremismo islamico dell’Isis, che si dichiara sunnita. NOTA*** in coda all’articolo.
Chi attacca e chi si difende. L’attacco è stato sferrato decisamente dal fronte americano (in Siria), con finanziamenti di Arabia Saudita e Qatar con annesso scatenamento della guerra dei prezzi del petrolio, la cui finalità principale è rendere la vita dura all’Iran nel suo rientro sui mercati mondiali (accordo USA-Iran, di cui parlerò tra poco) e alla sua alleata Russia (ripercussioni finanziarie e valutarie). Le milizie in campo sono diverse: oltre al suddetto Califfato ci sono quelle Curde, quelle dei cosiddetti ribelli siriani, l’esercito iracheno. Da non dimenticare poi gli interventi aerei americani e francesi, l’addestramento dei “ribelli” siriani da parte di forze speciali principalmente americane Il fronte Russia-Iran-Siria si difende in modo deciso dall’attacco avversario tendente a ridimensionarlo, forze di terra russe si sono affiancatie alle truppe siriane, ci sono milizie iraniane, oltre agli interventi dell’aviazione di Mosca.
Cosa sta succedendo all’interno dell’Arabia Saudita? E’ da seguire con grande attenzione anche l’evoluzione dell’Arabia Saudita, nella quale governa di fatto il trentenne principe ereditario Mohammed bin Salman Al Saud, che ricopre l’incarico di Ministro della Difesa e, in quanto tale, è il regista non solo della politica estera del suo paese (guerra in Yemen, guerra alla Siria/Iran), ma anche della guerra dei prezzi del petrolio. A conferma del suo ampio potere ha anche recentemente lanciato un ambiziosissimo piano economico nazionale (Vision 2030) che vuole trasformare l’economia e la società del regno arabo, rendendola meno dipendente dal petrolio. Che ci sia una relazione con le recenti profonde crepe del rapporto Arabia-USA (apertura americana all’Iran, la sorpresa dell’accordo a tre, Arabia-Egitto-Israele sulle strategiche isole Tiran e Sanafir poste allo sbocco del Golfo di Eilat)?
La partita è veramente grossa, ricordiamoci che uno dei tre pilastri dell’egemonia americana poggia sul dollaro come valuta degli scambi internazionali di materie prime, petrolio in testa, e la dinastia Saud che storicamente instaurò questa regola potrebbe anche cambiarla, affiancando al dollaro lo Yuan cinese (il secondo pilastro americano è la supremazia/rete militare nel mondo, il terzo la finanza transcontinentale).
Gli obiettivi della coalizione americana.
Si tratta di due obiettivi convergenti, il primo – di breve termine – è la sconfitta militare e il cambio di regime in Siria, o almeno la sua destabilizzazione territoriale e politica.
Obiettivo raggiunto solo parzialmente perché il subitaneo ed efficace intervento delle forze aeree e di terra russe ha evitato la sconfitta totale della Siria, che è stata comunque ampiamente destabilizzata. Con l’inserimento del Califfato in Siria-Iraq, è stato anche strategicamente indebolito l’Iran .
Che poi questo comporti la tragedia storica dei popoli siriano e iracheno e l’alleanza del “campione democratico” americano con i peggiori regimi musulmani finanziatori del terrorismo mondiale, per i nostri mezzi di informazione è sicuramente marginale, visto il connivente e inqualificabile silenzio in materia.
Giusto un fugace cenno all’Iraq, che si integra perfettamente in quanto detto sin qui. E’ il “paese” su cui ruota da almeno 15 anni la strategia di destabilizzazione israel-americana del Medio Oriente, facendo perno sulla presenza concentrata in tre diverse aeree geografiche degli iracheni sunniti, di quelli sciiti (la maggioranza) e dei curdi.
Il secondo e parallelo obiettivo strategico di lungo termine è l’occidentalizzazione dell’Iran. Nel post precedente a questo ho sostenuto che il passaggio da regimi comunisti di Russia e Cina in società ed economie legate ai mercati mondiali – che è stato favorito e pilotato dall’America con l’abbondante uso di dollari far sorgere una rete di “occidentalisti” – ha trasformato questi due paesi da nemici mortali a rivali geopolitici, con un grado di pericolosità quindi nettamente inferiore. Con l’adesione ai mercati mondiali (commercio e finanza) e ai modelli consumistici interni, Russia e Cina sono entrate nella rete dell’interdipendenza economica, finanziaria e psicologica del modello americano, una sorta di seduzione e dipendenza.
Venendo quindi all’Iran, la mia ipotesi è che l’eliminazione delle sanzioni (che tanto hanno fatto arrabbiare Israele) sia tendenziosamente volta ad avviare una manovra analoga con l’Iran. Ciò si è reso possibile dopo la recente sostituzione del presidente estremista Ahmadinejad con il moderato Hassan Rohani. E’ evidente che è per ora una operazione ad alto rischio, con tempi lunghi e possibili inversioni di marcia, molto dipenderà dalla voglia o meno dell’attuale giovane generazione di iraniani di avvicinarsi ai “modelli” occidentali. Per contro bisogna ricordare che il popolo iraniano è molto orgoglioso ed ha saputo convivere con le sanzioni per oltre 30 anni.
In questa fase la mossa americana è forse ispirata dal motto “tentar non nuoce” ed in ogni caso la superiorità militare israelo-americana locale continuerà ad essere il deterrente strategico decisivo per azzardate e suicide manovre nucleari o militari da parte iraniana. Se l’obiettivo sarà raggiunto, non solo l’avversario principale dell’America (e di Arabia Saudita e Qatar) in Medio Oriente sarà depotenziato, ma la Russia perderà il suo peso nell’area. E la Cina, di fronte ad una manovra non bellica, non potrebbe muovere un dito.
La strategia (i mezzi) posta in atto.
Della cassetta degli attrezzi di Dezzani, troviamo 1) le azioni militari americane mirate (basi aeree, blitz di terra di corpi speciali, addestramento) 2) la guerra finanziaria dei prezzi del petrolio (Arabia-Iran-Russia) 3) la creazione dell’Isis ad opera dei servizi di intelligence come strumento di guerra e di terrorismo (servizi segreti).
La nascita e il decollo del movimento politico, militare e terroristico del Califfato è sicuramente l’elemento distintivo della cassetta degli attrezzi utilizzati dalla coalizione americana nel cuore del mondo musulmano. Senza i pluriennali finanziamenti di Arabia e Qatar (non credo affatto che la Cia americana e il Mossad israeliano ne siano mai stati all’oscuro) che hanno consentito l’arruolamento di mercenari e l’acquisto di armi ed attrezzature, l’Isis non sarebbe mai nato. Se gli americani avessero voluto fermarli sul nascere, con bombardamenti aerei mirati sulle centrali operative, sulle vie di rifornimento e di trasferimento, nei depositi militari, non staremmo qui a parlare di Abu Bakr al-Baghdadi (chissà se è ancora vivo). Il quale è forse andato oltre il “mandato” suoi padrini, organizzando “impeccabilmente” il movimento dal punto di vista politico, militare e terroristico. Ha evocato il Califfato motivando giovani musulmani in tutto il mondo, ha sviluppato sue forme di finanziamento (tasse e petrolio) e alimentato così a sua volta l’estremismo islamico in tutto il mondo (Europa in testa e forse ad America/Israele non dispiace poi tanto).
Il Califfato inoltre qualifica come nemiche le dinastie famigliari autocratiche che regnano la penisola araba e lo stesso regime laico turco, colpevoli di aver trasgredito ai dettami del Corano, avendo isolato l’autorità religiosa dal governo della comunità.
L’Isis ha già reso il servizio per cui è stato finanziato e sostenuto da Arabia, Qatar e Turchia (+ connivenza attiva USA) per cui è probabilmente già avviato ad un percorso di ridimensionamento. Conserverà forse un ruolo terroristico autonomo oppure al soldo dei servizi segreti che contano (USA, Gran Bretagna, Israele) per nuove “missioni speciali” in altri paesi nei dintorni della Russia o in associazione con altri movimenti estremistici islamici (es. Fratelli Musulmani). Qui mi fermo, anche se molte altre considerazioni andrebbero sviluppate.
Nel rapporto USA-Israele, chi comanda?
Concludo questo lungo post (mi scuso con gli amici che prediligono articoli brevi) con una domanda – che è per me materia di indagine – relativa al rapporto USA-Israele, o per meglio dire delle loro intelligence e servizi segreti.
Nel Web – e non certo nella informazione ortodossa di regime – c’è un dibattito su chi sia veramente la mente/esecutore della strategia geopolitica americana in generale, inclusa quella mediorientale: sono le forze americane – lobby, governo, Cia, Nato, Pentagono – o Israele, Mossad in testa? Io ritengo che ci sia un elevato grado di coordinamento ed intesa fra di loro, ma non è detto che non ci possano essere “divergenze” o che Israele, particolarmente in Medio Oriente, non possa prendere l’iniziativa autonomamente o anche in contrapposizione alle strutture americane.
Il tema da studiare è ancora più ampio perché può essere allargato al movimento del Nuovo ordine Mondiale e/o del Sionismo, altri temi da esplorare. Sono consapevole di rischiare di scivolare in banale complottismo, ma oltre ad esserci abbondante materiale di studio, non si può affatto escludere che minoranze all’interno del potere mondiale possano puntare a disegni di potere estremi, come la storia del secolo scorso ci ha drammaticamente insegnato. Prima o poi ne riparlerò in modo specifico. Concludo con una curiosità: l’immagine che vedete qui a fianco è stampata sul retro di tutte le banconote americane da 1 dollaro, con al scritta in basso “nuovo ordine dei secoli”
NOTA*** Nel 1916 Gran Bretagna e Francia cominciarono a disegnare, sulle imminenti ceneri dell’Impero Ottomano, la nuova cartina dei paesi mediorientali. Non poterono (o non vollero) tenere conto di tutte le etnie e delle differenti correnti musulmane. Israele poi non esisteva ancora ed il petrolio (i cui giacimenti sarebbero stati scoperti decenni dopo) non era una materia prima strategica. Nella seconda parte del secolo scorso il concorso di questi elementi modificarono radicalmente il quadro geopolitico del Golfo e qualcuno cominciò a pensare/auspicare una “ristrutturazione” geopolitica dei confini esistenti. Il piano più importante fu quello auspicato da un giornalista israeliano Odeon Yinon in questo articolo pubblicato sulla rivista Kivunum nel febbraio 1982. L’obiettivo strategico enunciato è il frazionamento di tutti i principali paesi del Medio oriente e dell’Africa del Nord, sulla base delle differenze etniche e confessionale all’interno del mondo musulmano. Il concetto fu successivamente condiviso ed elaborato all’interno del mondo politico e militare americano, come dimostra il prossimo video.
Si tratta di una testimonianza diretta del generale americano Wesley Clark, che nel 2001, pur essendo in pensione, bazzicava ancora presso gli uffici del Pentagono e riceveva in via amichevole informazioni da ex colleghi. Il piano Odeon Yinon stava per decollare con il primo passo: l’attacco all’Iraq (giustificato con le famose falsa provetta di antrace di Colin Powell). Wesley Clark apprese in quella occasione che la lista dei paesi da destabilizzare era molto lunga: dovevano seguire Libia, Siria ed altri paesi mediorientali e africani a prevalente religione musulmana. Quindici anni dopo ne vediamo i frutti.
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