I diversi scenari possibili. Qual’è quello più probabile? Uno schema di analisi
Intanto aggiorno subito, dopo la vittoria di Trump, il mio personale Bollettino di guerra che avevo espresso alla vigilia delle elezioni americane nella prima parte di questo post.
Prima della (non eccessivamente) sorprendente vittoria di Trump il mio Indice di uno scontro diretto tra NATO/USA e Russia era a livello 40-45%, con la possibilità di un balzo oltre il 50% nel caso di vittoria del clan Clinton.
Oggi, alla luce del risultato elettorale, la mia valutazione scende intorno al 25%, perché voglio dare credito alla promessa del neopresidente di riavviare un serio colloquio con la Russia. Nei prossimi mesi/anni vedremo se i fatti andranno in quella direzione o no, traducendolo in un corrispondente aggiustamento del mio Bollettino.
Questo abbattimento dell’Indice è doppiamente benvenuto. Infatti uno scontro militare a due, tra USA e Russia, pur se originato in una area da noi lontana (per esempio Siria, o Ucraina), comporterebbe l’alto rischio del coinvolgimento dell’Europa filo americana. Dalla fine della guerra mondiale il Vecchio Continente è infatti un feudo militare di Washington imbottito di basi NATO, peraltro in fase di aggressiva espansione. Difficile immaginare che ne potremmo restare fuori.
C’è poi l’altro possibile scenario di guerra, che vede il coinvolgimento anche del terzo gigante geo politico, cioè la Cina, in un conflitto che sarebbe di dimensioni mondiali. Per questo secondo scenario il mio indice, che prima dell’elezione di Trump era intorno al 10%, è sceso adesso al 5%. Nell’ultima parte del post illustrerò i motivi della grande differenza tra i due indici.
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SOMMARIO – 1. Premessa 2. Commento al post di Dezzani 3. Probabilità di una guerra USA – Russia/Cina
1. PREMESSA – Per non perdere la visione d’insieme, devo ricordare che il confronto militare diretto è solo una delle tante “modalità” – quella estrema – dello scontro geopolitico, come ho argomentato in dettaglio in questo post. Esistono molte altre “tecniche” di attacco/difesa geopolitica rivolte direttamente al nemico che elencherò tra poco.
Tutte le stesse modalità di lotta possono essere applicate anche in modo indiretto, ovvero in aree/paesi periferici ma strategici per la costituzione o il potenziamento di una rete di alleanze mondiali. Il fine è l’accerchiamento del nemico o il controllo delle risorse energetiche e materie prime strategiche (es. il vitale bisogno di petrolio della Cina). La cartina con cui si apre il post è significativa in tal senso per l’aspetto militare.
I modi indiretti sono dunque: 1) guerre locali con proprie forze militari (es. Afghanistan ed Iraq dei due Bush), 2) guerre locali per procura, portate avanti da fazioni interne antagoniste opportunamente finanziate, armate ed addestrate (l’attuale conflitto in Siria ed Iraq, finanziato da Arabia Saudita e Qatar), 3) destabilizzazione politica e militare (Ucraina e, nuovamente, il Medio Oriente), 4) operazioni segrete dei servizi di intelligence (CIA e ambasciate americane), accompagnate da finanziamenti per creare una rete di agenti interni, 5) controllo dei mezzi di informazione per pilotare le opinioni pubbliche a favore di Washington, con l’obiettivo di mascherare la sua montante aggressività degli ultimi 20 anni (es. quasi tutti i mass media in Europa) 6) costrizioni commerciali (es. sanzioni ed embargo alla Russia, in precedenza all’Iran) e finanziarie (es. blocco di conti correnti esteri e di proprietà immobiliari), 7) terrorismo destabilizzante (Isis) 8) interventi finanziari destabilizzanti nei mercati (borse, valute, materie prime, esempio il prezzo del petrolio), 9) costituzione di centri di potere internazionali tesi ad indebolire quelli dell’avversario (Cina e Russia) 10) c’è infine un modo indiretto molto complesso, poco appariscente e di lungo periodo che è un processo di trasformazione socio economica dei rivali verso il modello della società consumistica occidentale: il rivale geopolitico viene integrato nei mercati mondiali delle merci e della finanza. Qui abbiamo alcuni importanti esempi: Cina e Russia ad un buon grado di maturazione, l’Iran ai primi passi, processo avviato quest’anno dall’amministrazione Obama.
Per maggiori approfondimento di quanto ho affermato in questo paragrafo, propongo questo post.
Se si decide di ricorrere all’intervento militare diretto, significa che i risultati ottenuti con tutti gli altri mezzi, non soddisfano o che si vogliono stringere i tempi, e che chi decide di andare allo scontro frontale ritiene di avere superiorità militare.
Quando si parla delle grandi decisioni di geopolitica, militari e non, prese a Washington, io parto da questo presupposto: esse sono il risultato di una dialettica all’interno dell’élite americana di potere, formata da alcuni circoli, e tra questi il più potente è quello delle dinastie famigliari americane/europee – molte delle quali di fede ebraica – azionisti di controllo della grande finanza privata, la quale a sua volta controlla il sistema delle Banche Centrali. Sono gli Istituti di Emissione con lo straordinario potere sovrano di emettere moneta e sono pertanto la fonte del potere politico-militare. Il denaro e la realpolitik vanno a braccetto, niente di nuovo sotto il sole, il modello attuale risale ai grandi banchieri del Medioevo.
Infine, a conclusione di questa premessa, voglio puntualizzare che, anche se farò quasi sempre riferimento all’America come attore geopolitico decisivo per il nostro futuro, Washington è accompagnata nella sua danza da due damigelle d’onore da non trascurare: Gran Bretagna ed Israele, con ruoli diversi, ma questo tema richiede un altro articolo.
2. COMMENTO AL POST DI FEDERICO DEZZANI. (Vai all’originale)
Dopo l’ottima descrizione iniziale della lavaggio mentale pluridecennale dei mass media operato sulle opinioni pubbliche europee anestetizzate (come cittadino italiano, mi sento di dire sui temi “caldi” raggiungiamo livelli disgustosi), teso a rappresentare la Russia come un pericolo o addirittura come l’aggressore (l’opposto di quello che sta avvenendo), Dezzani entra nel merito.
I motivi che spingono Washington ad una guerra diretta
Dezzani propone due fondamentali motivazioni, la prima di natura storica di lungo periodo e la seconda di carattere economico-finanziaria.
2.1 La sua motivazione storica e geopolitica è che l’oligarchia americana sente ormai il fiato sul collo dell’“inesorabile avanzare degli sfidanti mondiali” e che pensa quindi di avere “poco tempo a disposizione”. Quindi ecco il ricorso alla guerra diretta, una guerra di cui “l’impero angloamericano ha disperato bisogno”.
Può darsi che l’analisi di Dezzani sia corretta, che il fronte dei guerrafondai americani motivi così la sua voglia di guerra alla Russia. A me sembra però decisamente pessimista, nel senso che io considero l’egemonia di Washington ancora molto, ma molto forte. Mi spiego.
L’attuale supremazia americana è per me basata su 2 pilastri. Il primo è l’egemonia finanziaria nel mondo con il dollaro tuttora riconosciuto ed usato come la valuta principale degli scambi mondiali. La sua origine storica è l’alleanza con l’Arabia Saudita nata del 1945, in base alla quale solo il dollaro (questo fu un colpo basso americano all’impero britannico e alla sua sterlina) sarebbe stato accettato in pagamento del petrolio, regola che si sarebbe estesa poi a tutte le altre materie prime.
Anche tutte le istituzioni finanziarie internazionali nate nel dopoguerra (Fondo Monetario, Banca Mondiale, Banca dei Regolamenti Internazionali, quest’ultima fondata nel 1930) sono sotto il cappello americano. L’ONU è l’analogo centro di potere per l’aspetto politico. Il WTO si prende cura invece del controllo del commercio mondiale.
Il secondo fattore di leadership è la netta supremazia militare, intesa sia come armamenti, sia come rete mondiale di alleanze/basi militari (Europa, Canada, Giappone, Australia, altri paesi importanti in Asia), corroborata da una Marina Militare dominante. Non ho idea se gli americani dispongano anche di superiorità tecnica nucleare nei confronti della Russia, certamente invece l’hanno nei confronti della Cina, che da sola ben difficilmente potrà colmare il differenziale, anche nel medio termine.
Anche la Shanghai Cooperation Organization (SCO), una organizzazione nata nel 1996 e che raggruppa i principali paesi asiatici ed è capeggiata da Russia e Cina, non mi sembra una minaccia grave per Washington. Le sue attività principali sono infatti la cooperazione per la sicurezza interna (lotta al terrorismo, al fondamentalismo islamico e al separatismo) e la cooperazione economica (accesso alle risorse naturali e sviluppo di una rete logistica interna ed esterna). Non si tratta almeno per ora – e anche nel medio termine – di una anti-NATO temibile. Da tenere comunque sotto osservazione.
Finché esisteranno questi due punti di forza (finanziario e militare) la fazione moderata dei centri di potere americano prevarrà su quello oltranzista. Non vedo all’orizzonte minacce significative in grado di demolire nel medio termine (3-5 anni) i due punti di forza in questione.
2.2 La inevitabilità di un tracollo finanziario mondiale, la spinta ad una guerra mondiale preventiva. Qui concordo in toto sull’analisi, trovo però la conclusione ancora una volta pessimistica.
“L’impero angloamericano è fondato su un capitalismo finanziario […..] non genera una crescita economica stabile e costante […..] ma una serie costante di bolle speculative che si susseguono l’una dopo l’altra.”
Dezzani evidenzia poi come persino l’azione delle Banche Centrali si riveli incapace di rilanciare l’economia, l’occupazione, il tenore di vita e di contenere pertanto la marea montante – etichettato stupidamente come populismo dai servili mass media – dell’istintivo rifiuto del sistema e della globalizzazione da parte dei popoli occidentali
Un’ultimo tassello fondamentale evidenziato da Dezzani e che conferma la crisi strutturale del capitalismo finanziario globalizzato (decollato nel 1999) è il crescente peso del debito pubblico (Stati Uniti 105%, Giappone 320% del Pil) che si associa alla instabilità delle bolle della finanza privata.
“L’impero angloamericano si avvicina ad una crisi strutturale, tale da causarne il collasso”, pur esistendo le soluzioni tecniche ma che l’oligarchia al potere, secondo Dezzani, rifiuterà di mettere in pratica. Di cosa si tratta? Di “una ristrutturazione del debito pubblico o l’emissione massiccia di dollari così da alimentare l’inflazione. La prima ipotesi è un tabù per le oligarchie finanziarie, custodi dell’ortodossia finanziaria, la seconda ipotesi è una blasfemia.”
Anche qualora qualcuno (Dezzani cita Trump) ponesse in atto tali politiche, “un taglio del debito all’argentina, od una politica monetaria alla venezuelana, accelererebbe il tramonto del dollaro come valuta di riserva mondiale e la parallela eclissi dell’impero angloamericano.”
La sua coerente conclusione: “L’unica soluzione che rimane ad Hillary Clinton (Nota del Prof: le elezioni non erano ancora avvenute) per evitare che il tracollo di Wall Street trascini con sé l’impero ed il dollaro, è quindi l’azzardata scommessa di una guerra preventiva contro Mosca e Pechino: l’eliminazione degli sfidanti all’egemonia mondiale, il congelamento del debito pubblico statunitense in mano ai cinesi e l’inflazione bellica, sono gli unici strumenti per scongiurare l’inevitabile collasso.”
A mio parere questo scenario è sì possibile, ma improbabile, perché ce n’è uno alternativo e che nasce proprio dalle soluzioni tecniche indicate da Dezzani (che però, come abbiamo visto le ritiene inapplicabili o inefficaci): la Banca Centrale, in virtù della sua capacità sovrana di creare denaro dal nulla, è in grado di ristrutturare o cancellare il debito pubblico e di rilanciare l’economia reale. Dipende da come la creazione di denaro è gestita ed incanalata nell’economia. Naturalmente non posso qui motivare la mia affermazione, ma ho toccato l’argomento in alcuni articoli (questo ad esempio), ed ho in programma di avviare una serie specifica.
Ripeto che stiamo parlando di scenari probabilistici, sia l’Armaggedon militare sia la grande Catastrofe finanziaria sono eventi possibili, ma oggi come oggi improbabili. Anche tenendo conto della possibilità che settori deviati dei Servizi Segreti – americani e non – costruiscano una cosiddetta “operazione falsa bandiera“.
3. GUERRA A DUE (USA/RUSSIA) O A TRE (ANCHE CINA)?
Guerra tra Stati Uniti e Russia Se è corretta l’analisi fin qui condotta – e se non ho trascurato altri elementi fondamentali – l’America, il paese leader (ed anche il più aggressivo), non scatenerà la fine del mondo nucleare. Avvaloro questa conclusione con una ulteriore considerazione di puro buon senso, ma anche dal profondo significato geopolitico.
Gli Stati Uniti hanno circa 330 milioni di abitanti. Anche ammesso (e non concesso: l’America è veramente in grado di vincere una guerra nucleare con la Russia?) che vincessero una guerra totale, come possono poi occupare militarmente e controllare per decenni Cina e Russia, con la loro estensione geografica e con una popolazione che resterebbe comunque nettamente superiore a quella americana (oggi hanno 1,5 miliardi di persone)? Sarebbe solo una falsa vittoria!
Più efficace e meno rischiosa appare la lunga marcia intrapresa dopo la caduta del Muro di Berlino, finalizzata ad accerchiare con una rete di “alleati” sempre più fitta e profonda il nemico. Utilizzo quindi di tutti i metodi indiretti che ho elencato all’inizio del post per indebolire l’avversario, con un ruolo prioritario assunto da destabilizzazione e da occidentalizzazione. Rientra in questo quadro il lavorio della CIA per creare internamente alla Russia una fazione anti Putin, che porti alla sua caduta, sostituendolo con uno “zar” filoamericano.
La paventata guerra diretta russo-americana, che “quoto” oggi al 25%, sarebbe quindi uno scontro locale – Medio Oriente o Ucraina – che coinvolgerebbe anche le zone NATO sparse in Europa (risvolto positivo per gli USA: allontanamento definitivo Germania-Russia, evento geopolitico auspicato da Washington). Questa guerra sarebbe quindi un evento comunque tragico ed epocale. Il cambio della guardia Obama-Trump, se Donald non ha bluffato e se riuscirà ad imporre la sua linea, potrebbe riportare il 25% vicino allo zero. Stiamo a vedere
La Cina, a mio avviso, non vuole la guerra. Dal 25%, il mio indice di una guerra a 3 scende al 5% di probabilità. La Cina è impreparata militarmente, è ancora troppo impegnata nella crescita economica interna ed esterna (Africa), ed in più una guerra metterebbe anche lei a rischio destabilizzazione.
Credo anche che la sua strategia di lungo termine sia l’alleanza o con la Russia – per formare insieme un blocco “inattaccabile” – o con l’America, per togliere di mezzo la Russia e spartirsi con gli USA le enormi risorse energetiche del nemico conquistato. A Pechino quindi un conflitto USA-Russia non è attualmente assolutamente gradito (l’avranno sicuramente espresso a Washington).
In questa fase tra Pechino e Washington è probabile che ci sia un (implicito o esplicito?) patto di non belligeranza, uno scontro non conviene a nessuno. Questo non impedisce ad ambo le parti di provare a rafforzare il loro peso internazionale facendo ricorso, ancora una volta, ai metodi indiretti di lotta per spostare l’equilibrio geopolitico a loro favore.
Concludo con due video. Il primo ci offre una interessante sessione di geopolitica da parte di George Friedman, noto stratega che ha frequentato ambienti militari americani ed ha fondato l’istituto Stratfor (Strategic Forecast). La sede del suo discorso è una riunione del 2015 del Chicago Council on global affairs (fondato nel 1922) uno dei più influenti e storici centri di pensiero dell’élite americana.
Il secondo video è di fonte russa, quindi probabilmente tendenzioso ma comunque interessante, sugli equilibri militari esistenti con gli USA.
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