Il debito, da carburante a droga dell’economia capitalistica mondiale. E l’Italia non è affatto, come vogliono farci credere, tra i paesi più indebitati. Due post in uno del Prof
Nella moderna società del capitalismo industriale e finanziario coloro i quali, privati o banche, dispongono di capitali hanno sostanzialmente 4 modi per metterli a frutto che sono più o meno collegati con l’economia reale: 1) investire per creare o potenziare un’impresa, e accrescere il capitale generando un profitto 2) investire nel mercato immobiliare o per uso personale o per arricchimento via compravendita 2) prestarlo a credito al mondo produttivo o alle famiglie o a qualche governo per ottenere un interesse 4) investire nei mercati finanziari più o meno a rischio/speculativi in cui i pesci più grossi – meglio informati e magari anche coalizzati in un gioco delle parti – vincono quasi sempre e il parco buoi dei piccoli molto spesso perde.
L’interconnessione tra produzione e finanza è totale ed immediata nel primo punto poi diminuisce per quasi azzerarsi nel quarto punto. Ma …… se gli attori finanziari del punto 4 sono gli stessi che hanno investito anche negli altri 3 settori, allora una loro crisi generatasi nei mercati finanziari si ribalterebbe sull’economia reale (vi ricorda qualcosa?). E se infine gli attori finanziari in questione sono banche che hanno erroneamente rischiato non con i loro capitali ma con quelli di terzi (depositi dei correntisti), allora al danno sull’economia reale si aggiunge la beffa per i cittadini risparmiatori.
Il problema storico ed epocale in cui siamo immersi e che ci viene quotidianamente nascosto è che alla inevitabile variabilità/oscillazioni del mondo produttivo, che si squilibra da solo se distorce eccessivamente e permanentemente la distribuzione del reddito tra capitale e lavoro, si è affiancata – più violenta, incombente e selvaggia – quella del mondo della finanza. E dato che poco o nulla è cambiato dal 2008 altri terremoti economico-finanziari sono altamente probabili.
Le cause e i meccanismi sono noti, altrettanto vale per gli interventi “tecnici” necessari per porvi rimedio, ma la politica non sta dalla parte del parco buoi, che cerca anzi di confondere e dirottare su piste fasulle e divisive. Sta dalla parte dei “too big to fail”
Il tema affrontato da Simon Black (i prestiti per gli studi universitari) riguarda un sotto-filone del punto 2, che risulterà sorprendente per un lettore italiano, mentre da lungo tempo è una caratteristica del mondo americano. Leggiamo la e-letter del 30 marzo del blogger di Sovereign Man, per poi formulare un commento.
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