Il referendum di Papandreou.

Il 1° novembre le Borse europee hanno vissuto la giornata più negativa dal 2008 e Milano è stata la peggiore.

La causa di questo tracollo è stato l’annuncio a sorpresa del Primo Ministro greco di un referendum da tenere a breve, attraverso il quale il popolo greco potrà pronunciarsi sull’accettazione o meno del piano europeo definito nel recente vertice di Bruxelles.

Tra le decisioni del piano ci sono infatti gli aiuti finanziari a sostegno della Grecia, gli interventi concordati con il governo greco per avviare il riequilibrio dei conti pubblici e, infine, le modalità di controllo e sorveglianza dell’ UE sull’effettiva attuazione del risanamento da parte della Grecia.

E’ evidente l’intento di Papandreou di coprirsi le spalle, chiedendo tramite il referendum l’approvazione del suo popolo ad un piano di sacrifici senza precedenti. Ma essendo tali sacrifici anche la condizione necessaria per restare nella UE, è altrettanto chiaro che la consultazione sarà in realtà un pronunciamento dei greci sulla permanenza o meno nella UE.

Ma il referendum può esere letto anche in un’altra chiave: la profonda crisi che sta vivendo Eurolandia è dovuta più alla sua debolezza politica che finanziaria ed economica (gli USA hanno – dal punto di vista finanziario – dati e tendenze in atto decisamente peggiori della UE). Mancano un governo europeo ed una integrazione finanziaria, le parti deboli sono quindi attaccabili.

In questo momento di emergenza, per supplire all’assenza di un governo europeo, è quindi intervenuta (d’intesa con i governi di Francia e Germania) la BCE per imporre alla Grecia (e anche all’Italia) un piano di interventi. Vincolando gli aiuti finanziari di cui necessita la Grecia a misure interne di politica economica, la BCE  esprime un vero e proprio atto di governo a livello europeo, ma in una forma che assomiglia poco alla democrazia rappresentativa.

Volendo salvare la Grecia e mantenerla nella UE, Bruxelles non ha altra strada ma è anche vero che un popolo ha il diritto di pronunciarsi su una “novità” che si sta introducendo in modo strisciante e che li tocca così da vicino. Forse la scelta del momento per la consultazione popolare da parte di Papandreou non è stata la più opportuna, ma cambia poco. In tempi di crisi la tattica del rinvio, tanto cara ai burocrati europei, non serve a niente.

Da questo punto di vista il referendum è quindi un’ opportuna verifica democratica della volontà del popolo greco: se cioè vuole una Grecia indipendente o la preferisce dentro all’Europa, usufruendo dei suoi aiuti ma accettando anche le sue direttive e controlli. Ricordiamoci che il problema Grecia è originato dal fatto che il suo governo ha falsificato i conti pubblici ed è per questo che i mercati finanziari l’hanno di fatto condannata.

L’Europa non ha niente da perdere dal referendum, qualunque ne sia l’esito. Anzi forse è meglio concentrarsi sul vero grande malato che può fare implodere la UE, cioè l’Italia. E attenzione alla Francia, che il mercato dei Titoli di stato ha cominciato a declassare.

In ogni caso stiamo toccando con mano, con questa gravissima crisi finanziaria, che la UE necessita di una radicale revisione del suo atto costitutivo. Peccato che siano i mercati a sbattercelo in faccia e non sia invece  l’indicazione di una lungimirante visione politica.

In questi giorni circola una frase di De Gasperi : “Un politico pensa alle prossime elezioni, un uomo di Stato pensa alla prossima generazione”. Dove sono gli uomini di Stato?

Spunti per eventuali commenti.

Ecco alcune domande per commentare il post.

  • Perchè Mekel e Sarkozy sono stati finora così determinati nel salvare la Grecia?
  • Con il referendum Papandreou cura gli interessi del popolo greco?
  • Per il P.M. greco la mossa del  referendum potrebbe finalizzata contro nemici interni?
  • E’ giusto che l’Unione europea condizioni le politiche economiche dei paesi membri?
  • Anche Berlusconi dovrebbe indire un referendum sui piani concordati con la UE?

One thought on “Il referendum di Papandreou.

  1. Vorrei collegarmi alle ultime righe dell’articolo e alla verissima frase di De Gasperi che, a mio parere, riassume in maniera estremamente efficace uno dei motivi principali per cui la politica “non funziona”, quanto meno in questo Paese che è pieno zeppo di politici ma non vede uomini/donne di Stato da tempo immemorabile. Quello che mi viene da chiedermi è perché ci sono tanti politici e mancano drammaticamente uomini/donne di Stato? Non è paradossale che proprio chi dovrebbe occuparsi della cosa pubblica, nella stragrande maggioranza dei casi e oggi più che mai occupi quel ruolo dimenticandosi, non solo della prossima generazione, ma anche di quella attuale e preoccupandosi piuttosto dei propri interessi personali (vedi articolo sulle pensioni dei neo-non eletti)? Credo che oltre alla miopia temporale citata da De Gasperi (prossime elezioni versus prossima generazione) ciò che distingue il politico dall’uomo di Stato sia una incapacità del primo di uscire dalla visione individualistica e competitiva tipica della nostra società per sposare invece una più evoluta e, a mio modo di vedere, lungimirante visione collettivistica e cooperativa.
    Il vero problema, mi viene da pensare, è che la maggioranza delle persone ha dentro di sé un politico e non un uomo/donna di Stato…

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