Joseph Stiglitz: “Il problema è l’Europa, non la Grecia”

Il Premio Nobel per l’Economia: Euro e Austerità hanno diviso i popoli europei anziché unirli. E’ una follia che deve finire. Altrimenti le economie dei paesi periferici e i loro popoli continueranno a soffrire


Joseph Sti­glitz
 è pro­fes­sore alla Colum­bia Uni­ver­sity di New York, autore di diversi libri e saggi, è stato capo eco­no­mi­sta della Banca Mon­diale fino al 2000. Nel 2001 ha rice­vuto il pre­mio Nobel per l’economia. Lui, Paul Krugman e Nouriel Roubini sono i più illustri eurocritici di una folta schiera d’oltre Atlantico.

Nello scorso gennaio ha scritto un articolo pubblicato sul Forum on-line Social Europe e replicato con qualche variante a fine febbraio su Time. Eccolo in versione ridotta, per quella integrale seguite i link precedenti.

Secondo i dati eco­no­mici più recenti, sia gli Stati uniti che l’Europa stanno mostrando segnali di ripresa, anche se è pre­sto per dichia­rare la fine dalla crisi. Nella mag­gior parte dei paesi dell’Unione euro­pea, il Pil pro capite è ancora infe­riore al periodo pre­ce­dente la crisi: un intero decen­nio per­duto. Die­tro alle fredde sta­ti­sti­che, ci sono vite rovi­nate, sogni sva­niti e fami­glie andate a pezzi (o mai for­ma­tesi), un futuro quanto mai pre­ca­rio per le gene­ra­zioni più gio­vani, men­tre la sta­gna­zione – in Gre­cia la depres­sione – avanza anno dopo anno………





….. il males­sere dell’Ue è in mas­sima parte auto-inflitto, a causa di una lunga serie di pes­sime deci­sioni di poli­tica eco­no­mica, a par­tire dalla crea­zione dell’euro. Seb­bene l’intento sia stato quello di unire l’Europa, alla fine l’euro l’ha divisa: i paesi più deboli (quelli che già nel 1980 in un lavoro per l’Ocse, Fuà indi­vi­duava nei paesi euro­pei di più recente svi­luppo – tutti con alta infla­zione, dua­li­smo ter­ri­to­riale, defi­cit della bilan­cia dei paga­menti e di bilan­cio pub­blico, alta disoc­cu­pa­zione e note­vole quota di eco­no­mia som­mersa ……) sono riu­sciti, per ora, a rima­nere nell’euro a prezzo di disoc­cu­pa­zione e defla­zione sala­riale, crollo della domanda interna e aumento del “sommerso”.

In assenza della volontà poli­tica di creare isti­tu­zioni in grado di far fun­zio­nare una moneta unica — innanzi tutto una poli­tica fiscale unica — nuovi danni si aggiun­ge­ranno ai danni già pro­dotti. Gli squi­li­bri in Europa sono aggra­vati dalla diver­genza nelle espor­ta­zioni nette (la bilancia commerciale-nota del Prof), e solo una poli­tica fiscale comune può far in modo che i flussi com­mer­ciali del Por­to­gallo verso l’Olanda abbiano la stessa impor­tanza (cioè nulla) di quelli, ad esem­pio, dell’Oregon verso il Mis­souri o del Bran­de­burgo verso la Baviera (o da Milano a Palermo-nota del Prof)……….

Joseph Stiglitz, Greece

In Gre­cia, ad esem­pio, le misure intese a ridurre il peso debi­to­rio hanno di fatto lasciato il paese più inde­bi­tato di quanto non fosse nel 2010: il rap­porto debito-Pil è aumen­tato a causa dello schiac­ciante impatto dell’austerità fiscale sulla pro­du­zione. Il Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale ha ammesso que­sti fal­li­menti poli­tici e intel­let­tuali. Verrà anche il giorno in cui anche la Troika rico­no­scerà il fal­li­mento delle poli­ti­che di auste­rità e della teo­ria che l’hanno ispi­rate………..

I lea­der euro­pei restano con­vinti che la prio­rità debba essere la riforma strut­tu­rale. Ma i pro­blemi che men­zio­nano erano evi­denti negli anni pre­ce­denti la crisi, e non ave­vano fer­mato la cre­scita allora …… All’Europa serve una riforma della strut­tura dell’eurozona stessa, e l’inversione delle poli­ti­che di auste­rity, che non sono riu­scite a riac­cen­dere la cre­scita economica.

Con­di­vi­dere una moneta unica costi­tui­sce ovvia­mente un pro­blema poi­ché così facendo si rinun­cia a due dei mec­ca­ni­smi di aggiu­sta­mento: i tassi d’interesse ed il cam­bio. Se si ade­ri­sce a una moneta unica, la rinun­cia ad alcuni stru­menti di poli­tica eco­no­mica può essere com­pen­sata sosti­tuen­doli però con qual­cosa d’altro, come una poli­tica fiscale comune e con­di­vi­sione dei debiti, men­tre ad oggi l’Europa non ha messo in campo altro che il Fiscal com­pact (cioè la Super-Austerità, nota del Prof) …… o ci sarà l’Europa poli­tica (Stati uniti d’Europa) o non ci sarà l’euro…….

Il dramma dell’Europa è ben lungi dall’essere con­cluso. Uno dei punti forza dell’Ue è la vita­lità delle sue demo­cra­zie. Ma l’euro ha lasciato i cit­ta­dini – soprat­tutto nei Paesi in crisi – senza voce in capi­tolo sul destino delle loro eco­no­mie. Gli elet­tori hanno ripe­tu­ta­mente man­dato a casa i poli­tici al potere, scon­tenti della dire­zione dell’economia – ma alla fine il nuovo governo con­ti­nua sullo stesso per­corso det­tato da Bru­xel­les, Fran­co­forte e Berlino.

……… In tutta Europa, abbiamo assi­stito a un’allarmante cre­scita di par­titi nazio­na­li­stici estremi, men­tre in alcuni Paesi sono in ascesa forti movi­menti sepa­ra­ti­sti. E potranno le eco­no­mie dei paesi peri­fe­rici soprav­vi­vere ad una unione mone­ta­ria incom­pleta e asimmetrica?

Ora la Gre­cia sta ponendo un altro test all’Europa. Il calo del Pil greco dal 2010 è un fat­tore ben più grave di quello regi­strato dall’America durante la Grande Depres­sione degli anni ‘30. La disoc­cu­pa­zione gio­va­nile è oltre il 50%. Il governo del primo mini­stro Ale­xis Tsi­pras ha otte­nuto che venga abban­do­nato l’insano obiet­tivo – assunto dal pre­ce­dente governo Sama­ras – di tri­pli­care l’avanzo pri­ma­rio, anche recu­pe­rando parte dell’evasione fiscale ………

Il pro­blema non è la Gre­cia. È l’Europa. Se l’Europa non cam­bia – se non riforma l’Eurozona e con­ti­nua con l’austerity – una forte rea­zione sarà ine­vi­ta­bile. Forse la Gre­cia ce la farà que­sta volta. Ma que­sta fol­lia eco­no­mica non potrà con­ti­nuare per sem­pre. La demo­cra­zia non lo per­met­terà. Ma quanta altra sof­fe­renza dovrà sop­por­tare l’Europa prima che torni a par­lare la ragione?

Grassetto del Prof

Stiglitz e l'”errore” europeo

Questo magistrale articolo di Stiglitz – che si conclude con una domanda cruciale – ha ovviamente un taglio economico ed è su questo piano che l’autore definisce l’Eurozona e le sue regole (l’Euro e l’Austerità) un “errore” ed invoca, con un ritorno alla ragione, una sua profonda “riforma”.
Ma, a mio avviso, l’Eurozona non è affatto un errore e per capirlo dobbiamo abbandonare l’ottica economica di Stiglitz e adottare quella della storia europea e della sua evoluzione dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla fine degli anni ’80.
E’ in quegli anni che 1) crolla l’Unione Sovietica, la Germania si riunifica (1989) e 2) pochi anni dopo (1992) viene partorita l’Eurozona/BCE con il Trattato di Maastricht e l’annessa politica di Austerità di marca teutonica. Un uno-due micidiale che cambierà la faccia del Vecchio Continente.
Si possono scrivere fiumi di parole su questi due passaggi, mi propongo un prossimo post specifico essendo il tema troppo interessante. Vediamoli ora in forma ultra sintetica

Gli Stati Uniti e l’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. 
Stati Uniti e Russia, i vincitori della Seconda Guerra Mondiale si sono successivamente fronteggiati in Europa per più di 40 anni di cosiddetta Guerra Fredda. L’Europa era (ed è) disseminata di basi militari NATO che è principalmente finanziata e controllata dall’America. In altre parole e tanto per guardare in faccia la realtà, l’Europa è da 70 anni sotto tutela militare americana (Piccolo inciso: alla luce di questa situazione militare, si capisce quanto insulso e retorico sia uno dei tanti ritornelli propagandistici pro-UE che suona: “L’Unione europea ci ha salvato dalla guerra”.) E la recente boutade di Juncker sulla costituzione di un esercito europeo è del tutto velleitaria.

Dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) l’Europa non era più il fronte principale dello scacchiere mondiale o, quanto meno era diventato uno dei poli geopolitici, essendosi aperti quelli con la Cina e con il Medio Oriente. L’America doveva suddividere le sue risorse – non più fiorenti sotto il profilo economico come nel dopoguerra – su più fronti.

Quindi 50 anni dopo aver interpretato il ruolo decisivo nella sconfitta della Germania nazista, gli USA davano il loro OK alla riunificazione della Germania a cui affidavano anche (insieme alla Francia speranzosa e nostalgica di grandeur) la guida del Vecchio Continente. Tutto sommato era una garanzia di stabilità politica. Il presidio militare – ancora essenziale per la supremazia americana, per la sicurezza europea e per condizionare la relazione USA-Russia – restava saldamente sotto il controllo americano. Dulcis in fundo, la Gran Bretagna (membro della UE ma non dell’Eurozona) avrebbe svolto il compito di sorvegliare, riferire ed eventualmente condizionare gli sviluppi interni europei che, comunque nei loro passaggi cruciali devono sempre avere il benestare americano.

E’ chiaro che questa ricostruzione del ruolo giocato da Washington nel passaggio dalla CEE alla UE è una ipotesi non scritta da nessuna parte, ma oltre a rispondere alla legge del più forte e a consolidare la stabilità del sempre turbolento Vecchio Continente, ci sono molti altri indizi e vantaggi per gli Stati Uniti che rafforzano questa ipotesi. Ne riparliamo in un prossimo post.

Per terminare quindi  questa “fantasia” storica, aggiungo che, dal punto di vista americano, c’è un punto critico in questa delega affidata alla Germania: un potenziale eccessivo espansionismo economico ad Est, che potrebbe evolvere in una alleanza industriale-energetica tra la Germania (e le sue colonie economiche occidentali) e la Russia (e Cina?), facilitata da una cancelliera nata e cresciuta nella Germania comunista e che parla in russo quando incontra Putin. 

La Germania “occupa” economicamente e finanziariamente l’Europa. 
In questo paragrafo la fantasia storica lascia il posto alla realtà nuda e cruda dei fatti. Che sia stata o meno Washington a dare l’OK, la Germania non si è fatta scappare l’occasione storica del post Muro di Berlino.
Con il Trattato di Maastricht (1992) ha dato una svolta al sonnacchioso Mercato Comune Europeo, che nei precedenti 40 anni, stabilendo regole di libera concorrenza (compresa quella delle valute), aveva consentito il recupero del benessere un po’ a tutti i paesi europei.
Maastricht ha stravolto proprio la libera concorrenza tra i paesi CEE: 1) CambioFissoEuro ha bloccato la continua rivalutazione del marco, facendo dilagare le esportazioni teutoniche 2) il seme dell’Austerità – forzatura a senso unico della politica economica degli stati europei – impiantato nel Trattato del 1992 era pronto a fiorire alla prima violenta crisi che avesse investito l’Europa. Completava l’opera lo statuto della Banca Centrale Europea ad immagine e somiglianza della Bundesbank tedesca. La leadership tedesca ha saputo distorcere  le regole del gioco a proprio favore, altre leadership consenzienti.
Era nata “L’Europa dei Popoli”. La Germania che aveva perso la guerra militare, ha vinto così (per ora) quella economica degli anni 2000. Non ci sono i danni militari, ma quelli sociali ed economici non mancano certo. 

Stiglitz, gli Stati Uniti d’Europa (“Ci vuole più Europa”) e la politica fiscale

Tornando Stiglitz e ai suoi temi economici, la soluzione da lui invocata è: “una politica fiscale unica” ovvero “una politica fiscale comune e condivisione dei debiti”.
Ancora una volta, posizione impeccabile dal punto di vista economico-finanziario – condivisa anche da altri economisti e diffusa nel mondo politico italiano e internazionale che intende riformare l’Unione Europea attuale.
Peccato che adottando l’ottica storico-politica, l’unione fiscale diventi, nella migliore delle ipotesi, una pia illusione o uno specchietto per le allodole nella peggiore (e più frequente) delle ipotesi. Anche questo tema richiederebbe un intero post, qui mi attengo all’essenziale.

Che cos’è fondamentalmente la politica fiscale?
E’ la gestione della riscossione delle tasse e del modo di spenderle, suddividendole tra investimenti pubblici, macchina burocratica dello stato, servizi ai cittadini (sanità in primis), pensioni, sussidi e sovvenzioni. Stiamo parlando del 30-50% del Pil dei paesi sviluppati.

In più, se la gestione delle entrate/uscite non è in equilibrio allora la politica fiscale di uno stato si …… “arricchisce” della gestione del debito pubblico. E oggi, sempre nei paesi più  sviluppati, il debito pubblico varia dal 40% circa (Australia, Danimarca, Svezia, Svizzera, Corea del Sud) al 246% del Pil (Giappone).

Se teniamo presente infine che tutti i paesi hanno regioni interne più arretrate (in Italia il Sud, in Germania l’Est) che assorbono più tasse (nelle voci di spesa sopra elencate) di quelle generate, si capisce la capitale importanza in termini sociali, economici e politici della politica fiscale che, da questo punto di vista, è l’espressione della solidarietà di una comunità-popolo-paese.

Il popolo tedesco ne ha già abbastanza della sua politica fiscale.
Ora, nel caso di una unione fiscale europea degna di questo nome la Germania sarebbe uno dei paesi più ricchi che dovrebbe quindi trasferire una parte delle imposte riscosse presso i propri cittadini verso paesi più poveri (quelli che considerano maialini), o quanto meno dovrebbe garantire la solvibilità di nuovi titoli di debito pubblico europeo. Ve li vedete voi i tedeschi della Germania occidentale, che da quando è caduto il Muro di Berlino (ancora lui!) devono pesantemente e strutturalmente finanziare l’Est – fattore niente affatto estraneo all’accelerazione impressa dalla Germania alla “sua UE” -, fare altrettanto nei confronti dell’Italia, della Spagna, della Grecia, della stessa Francia, ecc.?

Ma non considero il popolo tedesco  un forte e bieco manipolatore degli altri popoli europei (ha i suoi problemi nel mercato del lavoro), ma la sua leadership sì, certamente. Così come considero dei poveri illusi, se in buona fede, o dei collusi, se in malafede, i politicanti e le classi dirigenti degli altri paesi europei.

Stiglitz, quanto potrà durare questa follia?

Il magistrale articolo di Stiglitz si conclude con la domanda delle domande. Lungi da me tentare di rispondere, faccio però qualche considerazione che discende da quanto ho scritto sin qui. Il cambiamento può avvenire dall’interno o dall’esterno.
Dall’esterno significa che l’America veda crescere troppo il pericolo di un’alleanza industriale/energetica tra Germania e Russia – con annessa l’Europa dell’Est e la sua mano d’opera a buon mercato come area di sviluppo (fase già ampiamente avviata dalla Germania) – e che di conseguenza ponga degli ostacoli a questa espansione verso oriente (Ucraina docet?) o addirittura tolga l’investitura alla Germania sull’Europa occidentale
All’interno potrebbe invece accadere che qualcuno dei popoli ipnotizzati dalla favola dell'”Europa dei popoli” si renda conto che invece  l’Unione Europea, succeduta alla benemerita CEE, è uno strumento di egemonia tedesca, a suo tempo gradito alla Francia e avallato dagli USA.

Ma purtroppo il problema dei problemi è che intanto i danni per i paesi periferici continuano ad accumularsi e anche l’eventuale rottura della Eurozona non sarà affatto indolore. Tutti costi indotti dei disegni egemonici delle leadership mondiali (e non dai popoli, incluso quello tedesco).

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4 thoughts on “Joseph Stiglitz: “Il problema è l’Europa, non la Grecia”

  1. La Germania si è avvantaggiato con l’euro,ma alcune nazioni europee sono governate male,in modo truffaldino,sperperano fortune e poi danno la colpa all’austerità.
    Un esempi su tutti : in Italia si stanno tagliando servizi sanitari e si impongono balzelli per ricette e visite sanitarie , nel contempo si spendono miliardi dico miliardi di euro in strutture sanitarie che non servono.
    Grandi ospedali semi nuovi , alcuni nuovissimi vengono rottamati per costruirne altri , altre strutture sono in ristrutturazione da decenni il tutto nel silenzio generale , però ci si strappa le vesti perché non ci sono risorse .
    I nodi dell’Europa e dell’euro sono tanti ,ma uno viene sempre sottovalutato
    ed alle lunghe sara il più pericoloso e devastante,questo nodo e quello delle spese per fare funzionare la macchina dell’unione,mi pare si sia avviato un carrozzone da fare impallidire quello italiano ,spese di gestione e burocrazia
    sono a mio avviso il pericolo numero uno per il futuro fallimento dell’Europa .

  2. Gianca, come al solito hai messo sul tavolo diversi temi, risponderò a tappe, cominciando dalla tua considerazione introduttiva.
    OK diamo per assodato che siamo un paese truffaldino, immagine che ci accomuna ad altri paesi “maialini”.
    Ma se ci sono “paesi truffaldini” e “paesi virtuosi” (come vedremo in seguito c’è molto da dire su questa classificazione un po’troppo semplicistica) il cui sistema-paese è profondamente diverso, come possono condividere la stessa moneta, che esprime proprio il valore del sistema-paese verso il mondo esterno? E’ solo un danno economico.
    Uno potrebbe pensare che ci aiuti a migliorare sotto il profilo morale. Ma la compressione dei risultati economici di un paese a vocazione “truffaldina” ha purtroppo l’effetto opposto: incentiva la tendenza della sua classe dirigente ad esserlo ancora di più, a spremere il limone e, cosa ancora peggiore, ad usare tutti mezzi possibili per non mollare il malloppo e restare in sella (inciuci e bipartitismo per le allodole)
    Così come l’austerità a senso unico peggiora la situazione economico-finanziaria di un paese anziché migliorarla, una moneta troppo forte non aiuta ma peggiora il grado di moralità dei paesi con minore etica.
    Non intendo con questo giustificare l’immoralità e i danni creati dalla classe dirigente italiana ma la speranza che l’Europa ci avrebbe aiutato a crescere sotto il profilo morale e sociale si è rivelata un’illusione, anzi ha prodotto l’effetto opposto. Si possono aggiungere altri collegamenti di connivenza politica tra la UE e i nostri campioni di delinquenza politica, ma per questo aspetto mi fermo qui.
    Veniamo invece ai paesi”virtuosi”, lo sono veramente o perdono anche loro qualche colpetto? Cominciamo con i due principali attori della svolta storica post Muro di Berlino che trasformò la CEE in Unione Europea, cioè i leaders tedesco (Kohl http://tinyurl.com/pb8dvfn) e francese (Mitterand http://tinyurl.com/ojmd925 ) che non sono esenti da clamorosi scandali politici.
    Passando ai nostri giorni non si può non ricordare Juncker e il suo civile Lussemburgo (http://tinyurl.com/psu7xzz) e la stessa Germania (http://tinyurl.com/oslsfuc) che ne combinerà meno di noi, ma non mi sembra un brillante esempio da seguire.
    Quando parlo con amici, uso spesso una metafora esemplificativa per riassumere la situazione in cui ci troviamo con l’attuale Europa, rivolgendo loro una domanda: ma se tu fossi zoppo (paese “truffaldino” e con un economia incerta) ti faresti mettere una palla di ferro (la stessa moneta del paese “virtuoso” che ha un’economia più forte) al piede della gamba sana? Non è un po’ autolesionista, con una venatura di masochismo?
    Gianca concludo la prima tappa, se ti interessa continuerò rispondendo agli altri interessanti punti che hai citato nel tuo commento.

    • Mi scuso per rispondere così in ritardo ma un problema tecnico non mi permetteva di vedere questa risposta.
      Caro Uberarldo la ringrazio ed apprezzo la sua risposta,molte cose sono condivisibili,tengo a sottolineare che molti guai in questa Europa fatta male ce li siamo voluti noi, qualche professorone pur di entrare in prima fascia ci ha chiesto di pagare 150 euro ,i risultati si sono visti,entrando in seconda fascia avremmo potuto limitare i danni ,d’altra parte da chi ha svenduto l’I.R.I e combinato un mare di danni economici cosa potevamo aspettarci ?
      Prodi e compagni avevano investito tutto sull’Europa , pensavano che risolvesse i nostri problemi o più semplicemente ed italicamente pensavano di fregarla prendendo a sbaffo i fondi europei,pertanto hanno accettato tutto e svenduto il paese e la sua moneta (che in verità non valeva molto ).
      La cosa è seria,l’Europa così come è stata concepita non può durare,ma uscire dall’Euro sarà un bagno di sangue uguale a quello che abbiamo subito per entrarci.
      L’unica possibilità che abbiamo per uscirne fuori senza danni sarebbe quella di mettersi attorno ad un tavolo ,cambiare le regole per costruire una Europa federale dove ogni popolo possa mantenere le proprie caratteristiche ,usi,costumi ma come federazione affrontare le sfide che il mondo ci pone e che da soli non abbiamo la forza di fronteggiare,ci riusciremo ? non lo so ,molto dipende dalla Germania, speriamo che la sete di rivalsa non la renda cieca.

  3. Ricevo via mail questo commento di Giusi, che riporto di seguito

    Caro Prof.,
    l’articolo di Stiglitz affronta solo una parziale dimensione economica, ma ignora completamente quella politica, che nel caso dell’Italia è particolarmente rilevante.
    grazie comunque per la segnalazione

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